Picc e Pala

mercoledì 4 aprile 2012

Riforma del lavoro. L’Italia come l’Argentina?


Venti anni fa il presidente argentino Carlos Menem abolì le leggi a tutela dei lavoratori ottenute dopo anni di lotte sociali, un provvedimento che neppure la dittatura militare aveva osato prendere.

Anche allora fu un tecnico ad occuparsi della riforma, Domingo Cavallo pose fine al "populismo peronista".

Il problema dell'Argentina di quegli anni era un'inflazione stratosferica e senza controllo. La prima mossa del duo Menem - Cavallo fu di stabilire il rapporto di parità peso-dollaro che ottenne lo scopo di far calare immediatamente l'inflazione.

Quindi il via ad una serie di riforme con l'obiettivo di migliorare la competitività e far ripartire l'economia. I risultati ottenuti nell'immediato permisero a Carlos Menem, per comportamento certo più simile a Berlusconi che a Monti, di essere rieletto e di proseguire il suo programma di macelleria sociale. Fatto di liberalizzazioni senza regole, di privatizzazioni e dismissioni di industrie pubbliche.

Menem e Cavallo si accanirono soprattutto sula flessibilità del lavoro, con la legalizzazione dei contratti a tempo determinato e la riduzione dei salari, ottenendo sì una diminuzione del costo del lavoro e un aumento dei profitti delle aziende, a fronte di un progressivo, devastante impoverimento della classe lavoratrice.

Anche il gettito previdenziale - pensionistico subì un calo drastico e venne di conseguenza privatizzato e gestito dalle grandi banche. Questo avrebbe dovuto portare l'Argentina ad occupare i primi posti nell'economia mondiale. Avvenne l'esatto contrario. L'industria entrò in una crisi profonda, le aziende chiudevano una appresso all'altra, la disoccupazione toccò livelli mai raggiunti nel paese sudamericano, che collassò nel dicembre 2001. Un paese devastato e sull'orlo della guerra civile.

I disoccupati erano un quarto della forza lavoro, le banche confiscarono i depositi dei correntisti. Intervenne il Fmi, ma quel denaro venne utilizzato per il salvataggio dei grandi capitalisti che esportarono all'estero trilioni di dollari.

Il sistema bancario argentino si trovò a disporre di una grande liquidità e cominciò a prestare denaro allo stato a tassi di interesse elevatissimi, stato che si svenava riversandolo al sistema pensionistico privatizzato e gestito dalle stesse banche. Intanto tre milioni di lavoratori rimasero senza lavoro e senza pensione. Anche qui il paragone con gli esodati non è, per certi versi, inopportuno, anche se la proporzione è fortunatamente sottodimensionata, al momento.

Alle elezioni del 2003, Menem si ritirò prima del secondo turno prevedendo una sonora sconfitta, vinse Nestor Kirchner che iniziò ad attuare un programma portato avanti dalla moglie Cristina eletta presidente nel 2007 e rieletta nel 2011. Abolire una ad una tutte le riforme di Domingo Cavallo: ripristinati tutti i diritti dei lavoratori, incrementate le pensioni e il sistema pensionistico tornato pubblico.

Con il ritrovato Stato sociale oggi l'Argentina è il paese con i salari più alti di tutta l'America latina e il costo del lavoro è inferiore al 2001.

La conclusione parrebbe ovvia, non è con i tagli a pensioni e salari e con la possibilità di licenziare i lavoratori che si stimolano gli investimenti e aumentano produttività e utili.

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